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L'associazione

L’associazione

 

“Chi è di scena?!” è il segnale con cui il direttore di scena comunica agli attori di una compagnia di prosa che è giunto il momento di fare gli ultimissimi preparativi dietro le quinte e di entrare sul palcoscenico in bocca all’amato e pur sempre temuto pubblico. Da quel momento in poi non più il neon freddo stranamente rassicurante dei camerini, ma il caldo e terribile fuoco dei riflettori, e quei respiri di un pubblico che c’è ma non si vede. Da quel fatidico: “Chi è di scena?!” l’attore è solo sul palco, solo con sé stesso e le sue emozioni, solo davanti ai tanti occhi che lo scrutano e che gli chiedono: “Chi sei?” Un bel respiro, il primo movimento, la prima battuta, e da quell’attimo insostituibile di smarrimento iniziale una grande energia si propaga dal palco in platea e viceversa.

Lo spettacolo è iniziato.

Guardiamo ora lo stesso momento con gli occhi dello spettatore. “Signore e signori, accomodatevi in sala, lo spettacolo sta per cominciare.” Le ultime boccate da una sigaretta, l’ultimo sorso di un buon caffè, le ultime chiacchiere con gli amici e la maschera che strappa il nostro biglietto. Ci accomodiamo ai nostri posti. Le luci di sala si affievoliscono, il mormorio si cheta, un attimo di interminabile buio. Si resta soli. I pensieri inevitabilmente vanno a quello che troveremo dietro il sipario ancora chiuso. Ecco, la magia si compie. Il sipario si apre, la musica parte, le luci illuminano la scena, l’attore appare.

Lo spettacolo è iniziato.

L’attesa di qualcosa che accadrà, che fortemente tutti vogliono che accada, lega indissolubilmente spettatori e attori. È proprio da questa attesa-speranza che qualcosa accada che nasce il rito del teatro. Ma cosa deve accadere? Gioia? Dolore? Risate? Rabbia o forse amore? Sorriso, dolcezza o pianto? O ancora, sospiri, eccitazione, sussulti, oppure abbandono? Tutto o un po’ non ha importanza basta che quel momento sia unico, irripetibile, in una sola parola: emozionante.

E le emozioni, quelle primarie, quelle che ci lasciano soli con noi stessi, non hanno colore, non hanno genere. Esistono e basta. Esistono perché esiste l’uomo. Come il teatro d’altronde. Il teatro è studio e arte, è matematica e letteratura, è scienza ed incoscienza, è pulsante, è tragico, è comico, è drammatico, è come le emozioni. Non è intelligente o stupido, di serie A o di serie B, non appare, è. Il mio Teatro delle Emozioni è semplicemente questo. Un Teatro visceralmente coinvolgente, dove lo spettacolo è un rito in cui il pubblico diventa elemento unico ed insostituibile della rappresentazione. Un Teatro che usa i classici per restituirli alla scena carichi di quel pathos che il nuovo millennio si porta con sé. Un Teatro moderno che aborra le urla e gli schiamazzi, che usa la tecnica per meglio arrivare al cuore della gente. Un Teatro che guarda al Grande Attore che respira e che respira Arte in ogni suo istante. Un Teatro della Luce. Un Teatro che non è e non sarà mai commerciale, almeno fino a quando il Bello non verrà considerato importante quanto il Superfluo.

 

Paolo Perelli